La storia

Può un piccolo paese di 600 anime e spiccioli, alle pendici della vetta più alta delle Alpi Apuane essere un unicum nel panorama provinciale e regionale? 

Evidentemente sì. A dimostrarlo è Gorfigliano, frazione del Comune di Minucciano, ma che nella sua unicità ha tantissime storie da raccontare e non smette di produrne di nuove, vista la vitalità di una comunità che questa unicità l’ha difesa a spada tratta fino ai giorni nostri. 

È questo il motivo per cui abbiamo scelto di ‘raccontare’ Gorfigliano, sviscerandone storia, caratteristiche, personaggi ma con un occhio anche al futuro. 

Un futuro che viene da lontano, anzi da lontanissimo se è vero che il primo documento storico in cui viene citato il paese, conservato nell’archivio arcivescovile di Lucca, è datato 793 dopo Cristo. Si tratta di un atto di vendita nel quale Rachiprando, rettore della chiesa di San Giovanni ed esecutore testamentario del defunto Walprando, vende al vescovo di Lucca la metà delle vaste proprietà fondiare del testatore: tra queste proprietà è nominata anche la località di Gorfigliano (Curfiliano o Corfiliano).

Prima di allora, dunque, una comunità aveva deciso di abitare il ‘Colle di Casa’ e di svilupparlo come un borgo, cinto da mura, al quale si accedeva da una porta dedicata a San Paolo. 

Caratteristica del borgo antico era anche la presenza di un castello, documentato per la prima volta in un documento del 997, il primo castello privato noto in tutta l’Alta Garfagnana e la Lunigiana orientale. Il castello è rimasto insediato dall’età medievale fino al XX secolo quando il suo spopolamento coincise con i danni del rovinoso terremoto che nel 1920 sconvolse Garfagnana e Lunigiana.

Nel frattempo, comunque, la collocazione del paese vecchio di Gorfigliano ben presto non divenne più funzionale alla popolazione che lo abitava. Già a partire dal XV-XVI secolo gli abitanti iniziarono ad abbandonare la frazione ‘a monte’ per scendere al ‘piano’, alle Capanne, lo spazio a quell’epoca coltivato e che ha dato vita all’attuale nucleo urbano di Gorfigliano. 

La zona dell’antico castello, invece, dal Settecento fu interessata a un complesso di lavori che lo trasformarono in una chiesa, quella che è attualmente denominata la chiesa vecchia di Gorfigliano. 

È proprio intorno a questa chiesa che parte tutta un’altra storia, tutta novecentesca, legata al Colle di Casa e alla chiesa vecchia. La zona, infatti, resta abitata da sole due famiglie fino al 1960, poi del tutto abbandonata, complice la costruzione di una nuova chiesa nel paese, a valle, inaugurata nel 1935. Una chiesa che ben presto si abbellì anche di tutti gli altari del Settecento che erano presenti nell’altra struttura.

Da lì l’inevitabile abbandono dell’area. La chiesa, con il tempo, diventò un rudere con la vegetazione che prese il posto della struttura in pietre e muratura. Si dovettero aspettare gli anni Ottanta del Novecento, precisamente il 1983, perché a qualcuno venisse l’idea di recuperare la chiesa in abbandono. Era Don Alberto Bartolomei che nel maggio di quell’anno convocò una riunione in cui annunciò la volontà di salvare e recuperare la chiesa vecchia, ormai prossima al crollo. Nell’animato incontro un muratore del posto, Secondo Casotti, accettò la sfida che molti sembrava davvero impossibile. 

Dalla domenica successiva alla riunione, però, qualcosa scattò all’interno dell’orgoglio e del senso di identità del paese. In molti decisero di iniziare ad aiutare Secondo: tutti volontari che, in un viaggio lungo vent’anni, con tenacia, passione e amore hanno riportato all’antico splendore tutto il complesso e sono passati alla storia e alla memoria come gli eroi della chiesa vecchia di Gorfigliano. 

I lavori per terminare la chiesa durarono per sei anni e come se quella fosse stata la sua missione su questa terra la fine di questa prima fase di interventi coincise praticamente con la fine della vita terrena del muratore Secondo Casotti. 

Al suo posto si fece avanti un nuovo ‘eroe’, una nuova figura carismatica che avrebbe portato avanti i lavori da completare: Olimpio Cammelli. Sotto la sua guida fu costruita la canonica, fu ripristinata una piccola chiesina antistante a quella principale, il campanile, il vecchio cimitero e tutta l’area. Quando è scomparso, nel 2005, mancavano solo alcune alcune rifiniture. 

Un paese che avuto così tanti eroi, a questo punto, non poteva che coltivarne la memoria, che poi significa identità e senso di appartenenza. La collezione di oggetti di vita contadina e non solo che era stata di Olimpio Cammelli proprio nella canonica sarebbe diventata di lì a poco un vero e proprio museo, il museo dell’identità dell’Alta Garfagnana intitolato proprio a Olimpio Cammelli e realizzato con il contributo del Comune, della parrocchia di Gorfigliano e della curia arcivescovile di Lucca. Ad occuparsene e a realizzarlo fu fondata l’associazione culturale Paese Vecchio di Gorfigliano che dal 2006 porta avanti incessantemente eventi e iniziative. 

All’interno del museo è documentata l’opera ventennale degli eroi della chiesa vecchia di Gorfigliano ma in realtà si respira l’aria di un luogo che da secoli dalle pendici del Pisanino dice a tutta la Valle della sua storia ultrasecolare. Perché anche nei piccoli borghi si può respirare il senso del tempo che scorre, che modifica luoghi e persone, ma che mantiene qualcosa di immutabile e durato: l’amore per la propria terra e per le proprie origini. 

Gorfigliano, eroi o non eroi, lo fa già dal Medioevo. 

Chiesa ricostruita

Eroi della chiesa vecchia

Foto vecchie eroi della chiesa vecchia

I cavatori, esperti e custodi della montagna
devoti alla madonnina custodita nel ventre delle Apuane

CaveNonostante la posizione geografica la storia di Gorfigliano si intreccia anche con la storia dell’industria. In terra montana è lo sfruttamento del marmo ad essere al centro delle attività della zona. Già nell’Ottocento lavoratori dall’Alta Garfagnana si recavano al lavoro nei siti di Arni, poi proprio all’inizio del secolo, nel 1900, i Comuni di Vagli e Minucciano dettero le prime concessioni a società di estrazione. Nacque così la Società anomima marmifera di Minucciano che poi diventò Società marmifera Nord Carrara, che presto entrerà a far parte del gruppo Montecatini. 

Gorfigliano, con la cava omonima, è stata da subito un centro dell’attività di estrazione molto importante, che diventò un elemento molto fondamentale per l’intera economia del paese e della Valle e per l’indotto. Le montagne che sovrastano il paese di Gorfigliano hanno ospitato, nella loro epoca d’oro, più di dieci cave, che davano da lavorare a centinaia di operai provenienti da tutta la provincia. 

Un lavoro faticoso, soprattutto prima dell’avvento della tecnologia. Per arrivare a lavorare nelle cave, infatti, occorreva compiere un percorso a piedi che arrivava anche fino a due ore. Tant’è che una delle prime conquiste ‘sindacali’ fu proprio quello di riconoscere all’interno della paga oraria anche il tempo necessario per recarsi a lavorare, il cosiddetto ‘poggio’. 

Lavoro durissimo, poi, quello in cava. Fatto di martelli e mazze e di gente esperta che sapeva interpretare la montagna, le venature del marmo, i cambiamenti morfologici del territorio di stagione in stagione.

Lassù, poi, ognuno aveva la propria specializzazione e occupazione. Sulle prime i blocchi di marmo che sarebbero poi stati lavorati nelle segherie del piano venivano fatti scivolare sulle vie di lizza, inserendo al di sotto dei blocchi degli elementi cilindrici che ne facilitassero lo scorrimento. Poi arrivarono le rotaie, che permisero di agevolare lo spostamento in discesa e in salita di marmo e di materiali necessari in cava. 

Ci fu un periodo, poi, che Gorfigliano fu davvero all’avanguardia tecnologica. Una piccola ferrovia, con un locomotore fatto arrivare direttamente da Pittsburgh, negli Stati Uniti, univa Gorfigliano con Nicciano, frazione di Piazza al Serchio, da dove il marmo partiva per tutto il mondo prima a bordo di camion, quindi di nuovo in ferrovia. 

Una tradizione che prosegue ancora oggi anche se i numeri dei lavoratori in cava sono notevolmente diminuiti, complice anche l’arrivo di macchinari in grado di movimentare con più facilità il marmo, del cavo diamantato per tagliarlo senza la necessità di acqua e sabbia per coadiuvare l’azione del cavo elicoidale, di strumenti per tagliare rapidamente e con più precisione il materiale. Fino a 800-900 persone sono state occupate nel lavoro del marmo, oggi sono fra le 50 e le 60, giusto per fare un paragone con i nuneri. 

Ma il re rimane, comunque, il materiale estratto, in particolare il marmo Bianco P, che si estrae dalla Cava Campaccio, che è servito, fra l’altro, per realizzare il mausoleo di Kennedy. Sempre da Gorfigliano arriva il marmo che ha decorato la più grande moschea di Gedda, in Arabia Saudita. Solo a Carrara e a Gorfigliano, nel bacino dell’Acqua Bianca, si trovano queste cave di marmo bianco puro. 

Protagonisti indiscussi del lavoro nell’industria marmifera sono i cavatori di marmo, quella gente definita come burbera e introversa ma che nei racconti dimostra una grandissima umanità e dignità, oltre a trasmettere, tuttora, un’etica del lavoro davvero di altri tempi. Ognuno, come detto, aveva la sua specializzazione: c’era chi tagliava il marmo, chi lo squadrava, chi lo trasportava. E poi c’erano gli esperti della montagna, i tecchiatori, che saggiavano la stabilità delle pareti provate dai lunghi inverni ghiacciati prima della ripresa dell’opera in primavera. 

I lavoratori del marmo, da tempo, affidano le loro sorti e le loro vite alla Madonnina dei Cavatori, festeggiata ogni anni nel primo weekend di agosto, proprio a due passi dal cippo che ricorda i caduti del lavoro in cava. Nel 1947 fu scolpita in marmo una piccola statua, dai lineamenti semplici e dolci. Da quell’anno ogni stagione il primo sabato e la prima domenica di agosto la Madonnina viene portata a spalla proprio dai suoi cavatori dal luogo in cui è custodita tutto l’anno, un sacello in mezzo alla montagna, fino alla località Segheria dove nel 1956 è stata eretta una cappellina in suo onore. 

I cavatori la conducono il sabato sera fino alla cappellina, quindi in paese dove rimane custodita nell’arco della notte. La domenica mattina ritorna in Segheria dove si celebra la messa con il vescovo e con il parroco del paese, prima che la Madonnina dei cavatori ritorni sulle sue montagne, non senza una qualche vena di tristezza e malinconia nelle facce degli abitanti del paese. 

Sempre la domenica, nel parco del marmo, si svolge la rievocazione storica dei cavatori del marmo dove anziani, ma anche lavoratori più giovani, mostrano il taglio di enormi blocchi con la tecnica del filo elicoidale. Vengono inoltre mostrate tutte le antiche lavorazioni che si svolgevano in una cava nel secolo scorso.

L’idea della rievocazione storica è stata del capo cava Cesare Brugiati, scomparso nel 2013. Nel 2006, con la collaborazione del comune di Minucciano e numerosi volontari, coordinò tutte le fasi di realizzazione del parco. All’interno del parco furono collocati enormi blocchi in marmo sui quali furono montati quelli che in gergo tecnico si chiamano tagli. Durante la rievocazione, portata avanti negli anni dall’associazione culturale Paese Vecchio di Gorfigliano un gruppo di cavatori anziani mostra al pubblico il taglio del marmo con il filo elicoidale, l’acqua e la sabbia, proprio come avveniva nel secolo scorso. Viene messo in moto il motore, e due linee di filo iniziano a girare. Per l’occasione vengono mostrate anche la lizzatura dei blocchi di marmo, ricostruita in modo statico, la quadratura e molte altre antiche operazioni che venivano svolte nel bacino marmifero. Inoltre viene raccontata la storia dell’estrazione del marmo iniziata a Gorfigliano nel 1901, quando il primo blocco di marmo fu lizzato fino al piano caricatore della Segheria, a pochi metri dal parco del marmo. 

Dai riti pagani alle rivalità fra rioni Gorfigliano è (anche) il paese dei natalecci

Una tradizione che risale al paganesimo, all’adorazione del sole che vince sulle tenebre nel solstizio di inverno e alle celebrazioni legate al suo ciclo. Che fa di Gorfigliano uno dei paesi in grado di attrarre un gran numero di visitatori anche nel periodo delle feste di Natale. 

Qui, infatti, i rioni del paese realizzano i natalecci. Si tratta di installazioni alte fino a 15 metri e larghe fino a 3-4 metri fatte di materiale di sottobosco, che montano in altezza, e che sono destinate ad essere bruciate, apotropaicamente, la sera della vigilia di Natale. Morte e resurrezione, insomma, interpretata in un’altra maniera rispetto alla tradizione cristiana. 

Un evento che, in paese, significa anche rivalità fra rioni: Bagno, Culiceto e Fenale. 

Si lavora tutto l’anno, ma in particolare a partire da ottobre, con una sana rivalità e fra gli sfottò, anche fra vicini di casa, mentre vengono realizzate e strutture. Una tradizione da mandare avanti e che coinvolge anche i giovani del paese. 

Prima si raccoglie il materiale per realizzare i natalecci, con viaggi nel bosco fra ascia e pennato alla ricerca di ginepro, scarti di pino, ginestre e quello che si trova. C’è chi il materiale se lo porta dietro a spalla, chi invece usa il trattore. Ma l’impegno è lo stesso. Ed è quello che porta alla festa dell’Immacolata, l’8 dicembre, il giorno in cui viene issata la tempia, l’elemento centrale del nataleccio. Si tratta, in sostanza, di un albero di alto fusto che viene privato dei rami e delle protuberanze e serve da asse centrale della stuttura. Dalla tempia i tessitori, che sono coloro chiamati a costruire il nataleccio, iniziano a montare i venti, rami posizionati in forma elicoidale sul quale poggerà l’intera costruzione fatta di rami ed elementi del sottobosco. 

Un lavoro ininterrotto, portato avanti da volontari dei diversi rioni, fino al momento più atteso, quello del 24 dicembre. In tre posizioni diverse del territorio gorfiglianese, là dove sono collocati i natalecci, si va dal pranzo in compagnia fino al calar del sole quando gli enormi cilindri, delle vere opere d’arte e di tecnologia contadina, vengono incendiati alle 18. 

Dopo la combustione i natalecciai si ritovano nel centro del paese per un po’ di sano confronto fra paesani, che a volte può anche diventare un po’ acceso. Ma a vincere non è il nataleccio più bello, ma il rinnovo della tradizione che si ripete negli anni. 

Un tempo, oltre ai natalecci dei tre rioni, venivano realizzati anche dei ‘natalecci minori’, una tradizione che è andata però ad affievolirsi nel tempo. E anche manifestazioni simili, importate dai paesi vicini, non hanno mai raggiunto i livelli di perfezione di Gorfigliano, che non a caso con orgoglio si definisce, il paese dei natalecci. 

Natalecciai

Il dialetto: l’anima del popolo di Gorfigliano

C’è un’altra caratteristica che fa di Gorfigliano un unicum in tutta l’alta Garfagnana. Ed è il suo dialetto, con delle particolarità che ne fanno in tutto e per tutto una sorta di isola linguistica in un territorio già caratterizzato da altri luoghi del tutto particolari, come ad esempio la vicina Vagli. 

Senza entrare nei dettagli della unicità del dialetto di Gorfigliano, che ha riscontrato l’interesse dei glottologi, basti sapere che in paese si parla una ‘lingua’ con dei suoni che gli studiosi hanno riconosciuto come unici a livello internazionale. Tant’è che il gorfiglianese ancora oggi viene studiato nelle sue principali caratteristiche dalla Scuola Normale di Pisa. 

L’attenzione nei confronti del dialetto gorfiglianese ha delle radici che risalgono agli anni Cinquanta. Proprio nella primavera del 1950  una giovane studentessa tedesca, ma di chiare origini italiane, come Erika Bonin, è approdata in paese dall’università di Monaco di Baviera per preparare una tesi di laurea proprio dedicata al tema. Nei mesi di stanza a Gorfigliano Erika Bonin ha ascoltato i paesani, la saggezza e la memoria del popolo, arrivando a raccogliere un vocabolario di oltre 10mila parole. Tre mesi di fatica, un secondo viaggio nell’autunno del 1950, per poi arrivare alla discussione della tesi di laurea il 31 luglio del 1952 con il professor Gherard Rholfs, considerato ancora oggi il più grande glottologo d’Europa. 

Una tesi che, oltre a rappresentare un punto di partenza fondamentale per lo studio del gorfiglianese e del suo legame con gli altri dialetti dell’alta Garfagnana e della Lunigiana, ha permesso di diffondere il nome di questa piccola realtà territoriale in oltre 200 biblioteche universitaria di tutto il mondo. 

Il legame della dottoressa Erika Bonin con il territorio garfagnino, anche grazie all’impegno dell’associazione culturale Paese Vecchio di Gorfigliano, è continuato nel tempo. 

Nell’agosto del 2007 a distanza di oltre 50 anni dal suo soggiorno in Alta Garfagnana la dottoressa fu invitata a tornare con la famiglia in occasione dei festeggiamenti per il 60esimo anniversario della Madonnina dei Cavatori, e proprio durante la messa in località Segheria, si rese protagonista di un gesto bellissimo, riconsegnando alla popolazione due sacre effigi in marmo che, come lei stessa raccontò, aveva ricevuto in dono da un anziano abitante del paese vecchio di Gorfigliano, il Colle di Casa. Oggi quelle effigi sono esposte all’interno del museo dell’identità dell’Alta Garfagnana Olimpio Cammelli. Nel 2009, fece nuovamente ritorno a Gorfigliano con la figlia Alexandra ed il genero Fritz, e l’1 agosto ricevette dall’allora sindaco di Minucciano Domenico Davini la cittadinanza onoraria alla presenza di tutto il consiglio comunale appositamente riunito. In quella occasione pronunciò una frase che è entrata nella storia dell’identità di Gorfigliano e del suo parlato: Se la lingua è il cuore di un popolo, il dialetto ne è l’anima.

In quello stesso giorno, a Gorfigliano in sala Pancetti, l’associazione culturale Paese Vecchio di Gorfigliano con la collaborazione del Comune organizzò una grande mostra fotografica dove furono esposte tutte le fotografie che la Bonin scattò durante il suo soggiorno di studio e ricerca per la preparazione della sua tesi di laurea; una documentazione storico fotografica straordinaria, tuttora importante per la ricostruzione della storia del paese. Durante l’inaugurazione le fu poi consegnata dal presidente dell’associazione Yuri Damiano Brugiati un’opera a lei dedicata realizzata dal maestro Giuseppe Di Giangirolamo. 

Il dialetto gorfiglianese non è e non è stato, però, soltanto affare di accademici. Lo dimostra l’attività di Luigi Casotti, conosciuto da tutti come Luigi ‘Dal Bozzo’. Classe 1930, scomparso il 31 dicembnre del 2009 all’età di 69 anni, da autodidatta negli anni ha messo nero su bianco l’anima linguistica del territorio dell’alta Garfagnana. 

Poeta, scrittore, è stato autore di befane e di numerosi “maggi” per la Compagnia dei maggianti di Gorfigliano e di mini maggi per i bambini delle scuole elementari di Gorfigliano, Pieve San Lorenzo e Piazza al Serchio. 

Il maggio, appunto, una delle tradizioni popolari più antiche e che a Gorfigliano è ancora in vita. Si tratta di antichi un rito di pura origine agreste, nato per propiziare la fertilità del territorio. Nel tempo i contenuti si sono storicizzati, passando dai temi religiosi ed epici degli esordi, alla eterna lotta fra il bene e il male. Il maggio vive ancora ai nostri giorni grazie a compagnie di ‘maggianti’ che lo eseguono in particolare in occasione delle feste popolari. Il maggio garfagnino, in particolare, non appare ancora contaminato dal teatro colto: si rappresenta all’aperto, preferibilmente nel bosco o nella piazza del paese e senza scenario. I costumi, sgargianti, ricchi di nastri, lustrini e piume sono sempre uguali, qualunque sia la vicenda rappresentata. Lo spettacolo è tutto cantato ed accompagnato dal violino, dalla fisarmonica o dalla chitarra ed è tutto gestito da popolani. Il metro è sempre identico: quartine o quintine di ottonari, con linguaggio letterario o arcaizzante tipico del Rinascimento. 

Appassionato del dialetto gorfiglianese nel corso degli anni Luigi ‘Dal Bozzo’ Casotti lo ha tramandato e fatto conoscere con centinaia di studi e testi, molti dei quali raccolti, a dieci anni dalla morte, da Yuri Damiano Brugiati con la collaborazione di Peter Coppo e Giuseppe Brugiati nel volume Il dialetto di Gorfigliano in Alta Garfagnana. Il libro raccoglie al suo interno un estratto degli studi e dei manoscritti realizzati da Luigi Casotti: le regole per la pronuncia, oltre 1300 vocaboli dialettali, racconti e poesie, un intero Maggio in dialetto, alcune Befane e molto altro ancora. Luigi Casotti è stato anche l’autore della preghiera della Madonnina del Cavatore che, musicata, viene eseguita ogni anno in occasione delle celebrazioni della vergine. 

La memoria di un popolo custodita nel museo dell’identità dell’Alta Garfagnana

Ogni paese ha una storia. E ogni paese ha chi ne custodisce negli anni la memoria. 

Gorfigliano, in questo senso, ha avuto fortuna. Di avere degli eroi che hanno ricostruito l’elemento simbolo del paese vecchio, con trent’anni di lavoro nel fine settimana nonostante le fatiche di lavorare in cava dal lunedì al venerdì. E di avere chi, con il tempo, quella memoria l’ha custodita tanto da farne un museo. 

È Olimpio Cammelli che, dopo Secondo Casotti, prese in mano l’impresa degli eroi della chiesa vecchia di Gorfigliano fino alla sua morte nel 2005. Olimpio, che di mestiere faceva il capo cava, nella sua abitazione nel corso degli anni aveva collezionato un’enorme quantità di oggetti tutti legati alla storia e alla tradizione popolare. Alla sua morte la seconda moglie, Emma Orsi, che con Olimpio abitava un vecchio mulino ristrutturato a Gramolazzo, che ospitava tutti gli oggetti della ventennale collezione, fece quello che Olimpio avrebbe sicuramente voluto: donare tutti gli oggetti alla comunità. Grazie alla donazione, dunque, potè nascere l’associazione culturale paese vecchio di Gorfigliano che nella canonica di fresco ristrutturata allestì il museo dell’identità dell’alta Garfagnana. 

Entrarci è davvero un tuffo nella storia: dalle antiche macchine da lavoro per l’agricoltura, per la manifattura e, soprattutto, per l’escavazione del marmo fino a un grandissima quantità di oggetti legati agli antichi mestieri: dal calzolaio, al pastore, al fabbro, al falegname e tanti altri ancora. 

Non è un caso, poi, che tutto il museo parli degli eroi della chiesa vecchia di Gorfigliano: è un cerchio che si stringe nella sala che funge anche da luogo di lettura e per conferenze e convegni e che ospita un’intera parete con le foto dell’impresa monstre che dal 1983 ha visto impegnato un intero paese. 

Nel museo viene ricordata anche l’antica tradizione del maggio, i canti in ottava rima improvvisati o interpretati nelle piazze e nelle aie dei paesi e che a Gorfigliano ha avuto un grande interprete in Luigi Casotti, per tutti Luigi Dal Bozzo. 

Fra i reperti più belli, a chiusura di un percorso che è un vero tuffo nel passato del lavoro, la bandiera del sindacato dei cavatori di Gorfigliano, che risale al 1920. 

Il mecenate Jacopo Pancetti e l’affresco di Annigoni per la cappella di famiglia

Ma a ricordare un pezzo di storia di Gorfigliano non c’è soltanto il Museo dell’identità dell’Alta Garfagnana e non ci sono solo gli eroi della chiesa vecchia di Gorfigliano. Un po’ più decentrato rispetto al fulcro delle attrattive del paese, il cimitero della frazione di Minucciano nasconde un vero e proprio tesoro. Si trova all’interno della cappella mortuaria della famiglia Pancetti ed è l’affresco del celebre pittore fiorentino Pietro Annigoni. A farlo realizzare è un altro personaggio che la dice tutta della caparbietà e della voglia di emergere della gente di Gorfigliano.

Jacopo Pancetti nasce il 9 dicembre del 1914 a Montevideo, figlio di emigranti in cerca di fortuna in Sudamerica quando ancora a Gorfigliano non era sbocciata l’industria del marmo. I genitori di Jacopo, Giovanni Pancetti e Margherita Colombini, tornano nella terra natìa aprono un’attività commerciale e un albergo, che presto sarà anche oggetto di riqualificazione. Jacopo si laurea in medicina e chirurgia a Siena e la sua è una carriera di successo: nel 1946 è fra i fondatori di Villa Ulivella a Firenze, clinica dove passerà tutta la sua vita professionale. È lì che conosce il pittore Pietro Annigoni cui chiederà di lavorare all’affresco nella cappella di famiglia. Quello che verrà fuori sarà un autentico capolavoro, l’unico affresco di Annigoni realizzato in tutta la provincia di Lucca. Un altro motivo per fare tappa nel paese ai piedi del Pisanino. 

Un paese di tradizioni che guarda anche al futuro: per Gorfigliano previsti oltre 11 milioni di interventi

Una pioggia di interventi da oltre 11 milioni e 600mila euro per riqualificare il paese di Gorfigliano, la frazione di Minucciano ai piedi del Monte Pisanino. È questa la cifra che ha in mente l’amministrazione de. sindaco Nicola Poli per la frazione più popolosa del paese, tra progetti finanziati e, perché no, qualche sogno che potrebbe essere concretizzato grazie al Piano nazionale di ripresa e resilienza. 

Una bella fetta del programma triennale delle opere pubbliche 2022-2024 di Minucciano, che ammonta a oltre 26,5 milioni di euro, è destinata proprio a Gorfigliano, che del territorio comunale è la frazione più grande. 

Una serie di interventi per riscrivere il futuro di Gorfigliano, che sarà tra i protagonisti di Abitare la Valle del Serchio, il progetto sviluppato dall’Unione Comuni della Garfagnana e dall’Unione Comuni Media Valle del Serchio nell’ambito del bando programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare e per il quale la Valle ha ottenuto 15 milioni di euro per un totale di 39 interventi sul territorio.

Tra questi, c’è proprio Minucciano, che con quasi un milione di euro andrà a riqualificare la zona degli impianti sportivi di Gorfigliano: “Abitare la Valle del Serchio è un progetto che vede 19 Comuni – e due Unione dei Comuni – lavorare su un territorio vasto, grande, ed eterogeneo, come l’intera Valle del Serchio, su alcuni temi che sono accentranti e unificativi – spiega il sindaco di Minucciano e coordinatore del progetto, Nicola Poli -. Il nostro progetto ha come fine quello di riportare nell’intera Valle del Serchio una qualità diffusa dell’abitare, in linea con le attuali necessità di una popolazione che cambia, di una società che evolve e che soprattutto sente il bisogno di vivere la Valle in maniere nuova, diversa e innovativa. Migliorare qualità della vita e riqualificare i borghi, due concetti che rientrano a pieno nel progetto per Gorfigliano. Qui abbiamo pensato ad una riqualificazione di tutta l’area intorno agli impianti sportivi, con una piscina e nuovi campi polivalenti a cielo aperto. Vogliamo creare un centro di aggregazione sociale anche per ragazzi, che a noi manca,  con un bar e un piccolo anfiteatro. Una zona che sarà collegata con le case popolari e la scuola”.

Non solo Pinqua, però, l’amministrazione sogna in grande con altri progetti. Nel piano triennale (oltre a 2,3 milioni per mettere in sicurezza il paese), infatti, il Comune ha inserito anche la rigenerazione urbana di una strada importante, via della Maestà, per 1 milione e 473mila euro; la riqualificazione dell’area parcheggio in centro storico (365mila euro); la rigenerazione urbana di via Vittorio Emanuele (720mila euro) e il restauro/recupero dell’area della chiesa vecchia (560mila euro).

Il progetto più oneroso è quello relativo al recupero e riqualificazione dell’area della Segheria, dove è collocata la cappellina della Madonnina del cavatore. Un intervento da quasi 4 milioni complessivi (con alcuni lavori già appaltati e in parte già iniziati nel primo lotto), che coniuga turismo, ambiente e vecchie tradizioni e che prevede la realizzazione di una struttura culturale e di aggregazione sociale: “È uno dei luoghi più ricercati dal punto di vista ambientale e turistico – spiega il sindaco Nicola Poli – Qui abbiamo in mente un progetto strettamente legato ad una tradizione vecchia oltre 70 anni, quella della Madonnina dei cavatori di Gorfigliano, che rappresenta da un lato la dedizione al lavoro dei cavatori e dell’altro la devozione religiosa alla Madonna. Abbiamo in mente la creazione di un museo dedicato al marmo, con una serie di interventi collegati, dall’area pic-nic a quella per la sosta per camper, che hanno l’obiettivo di valorizzare la zona da punto di vista turistico”.

L’amministrazione ha in mente anche un altro intervento per Gorfigliano: “Vogliamo acquistare e recuperare l’ex albergo Pancetti – annuncia il primo cittadino -. L’obiettivo è quello di mantenere la storia del palazzo, ma allo stesso tempo farlo diventare una realtà più dinamica. Una parte è già viva con il centro di aggregazione, aperto da 8 anni, ma adesso la nostra idea è quella di comprare l’ex albergo e ristrutturarlo”.

Gorfigliano: alcuni dati

Regione: Toscana

Provincia: Lucca

Dati minucciano
Dati garfagnana