I due borghi all’ombra del confine

La storia ha attraversato tante volte Saint-Rhémy-en-Bosses e ancora oggi continua a farlo. Anche la mia piccola storia affonda qui le sue radici e precisamente nella frazione di Cuchepache dove mio nonno Graziano, lo storico maestro del paese – cercate su Google Maps la “casa del maestro” – ha costruito la dimora di famiglia. Nel 1946 ha portato mia nonna, conosciuta durante la guerra a Lucca, in questo paese della Coumba Freida (aria gelida), a 1500 metri di altitudine, poche manciate di case, in inverno sommerse dalla neve, nell’ultimo comune italiano prima del confine svizzero. Chissà se nel convincerla a lasciare la campagna ha raccontato anche a lei, come usava fare con noi nipoti, l’etimologia del nome della frazione. Cuchepache ovvero dormi in pace. Nel Seicento la peste risparmiò i pochi abitanti della frazione, prendendosela invece con i vicini di Laval, dove tutti furono “lavati” via dalla più celebre e devastante pandemia.
 Nei due borghi che compongono il paese, prima due distinti comuni quello di Bosses e quello di Saint-Rhémy, tutto racconta di tempi lontani. Volgendo lo sguardo ai propri piedi e osservando le pietre, quelle su cui da anni consumano le suole viandanti e pellegrini, e in tempi più recenti escursionisti e trailer, è possibile trovare tracce di una storia secolare.

Un po’ di storia su Saint-Rhémy-en-Bosses

Ancora oggi la via più breve per raggiungere il confine elvetico, certo la più impegnativa, ma anche la più suggestiva, è quella romana, l’antica “Strada delle Gallie”, ristrutturata e consolidata nel 1° sec. a.C., strada i cui resti sono ancora ben visibili ai giorni nostri, e sulla cui sede rocciosa si cammina ancora in vari tratti dell’attuale percorso della Via Francigena. Cinque chilometri per oltre 900 metri di dislivello conducono dal borgo di Saint-Rhémy fin su verso l’Ospizio del Colle del Gran San Bernardo fondato nel 1045 come luogo di accoglienza per i numerosi viaggiatori e pellegrini. Un luogo visitabile che conserva ancora oggi una grande spiritualità.

La funzione di centro abitato più vicino al colle sul versante alpino meridionale ha caratterizzato Saint-Rhémy-en-Bosses nei secoli. In epoca romana di qui transitarono consoli, prefetti, magistrati, legati e ambasciatori ma anche parecchi fra i Cesari. L’evento che però fece maggiormente salire agli onori della cronaca questa antica via fu il passaggio spettacolare di Napoleone Bonaparte, nel maggio del 1800, con la sua armata di 60.000 uomini e 5.000 cavalli e 50 cannoni. Un vero e proprio evento per la comunità di Saint-Rhémy-en-Bosses che ancora oggi viene ricordato nel celebre carnevale, in programma nel mese di febbraio. Le “landzette”, le maschere tipiche, traggono ispirazione dalle divise dei soldati dell’armata napoleonica.

I privilegi concessi all’ultimo comune italiano prima del confine svizzero

Essere l’ultimo comune italiano prima del confine svizzero portò a Saint-Rhémy-en-Bosses molti vantaggi. Gli abitanti del borgo godettero ad esempio del diritto esclusivo, concesso dai Savoia dal X secolo, di accompagnare i viaggiatori e le loro merci da Aosta fino al Valico. Nel 1627, il duca Carlo Emanuele I concesse l’esenzione dal servizio militare per gli abitanti di Saint-Rhémy e di Bosses. Essi divennero dunque i “Soldats de la neige” e continuarono la loro abituale attività di soccorso e di manutenzione della strada almeno fino al 1927.

Il Colle del Gran San Bernardo continuò a mantenere a lungo la sua importanza strategica. Fra la fine dell’Ottocento e fino a metà del Novecento si diffuse fra molti abitanti dei paesi della valle la pratica del contrabbando, attività parallela a quella, poco redditizia, dell’agricoltura.

L’apertura del Traforo del Gran San Bernardo, nel 1964, rappresentò una nuova fonte di reddito per gli abitanti di Saint-Rhémy-en-Bosses. Il Tunnel rese raggiungibile in ogni periodo dell’anno la “ricca” Svizzera, dove molti “bossoleins” trovarono lavoro e qualcuno fortuna. Inoltre diede una nuova spinta al turismo. Una delle attività su cui oggi punta il comune di Saint-Rhémy-en-Bosses, in estate, attraverso una ricca rete sentieristica in una natura incontaminata, e in inverno, attraverso lo sfruttamento della zona di Crévacol, dove è installata una stazione sciistica. Ma il comune di Saint-Rhémy-en-Bosses è conosciuto anche per il suo famoso Jambon, un prosciutto crudo speziato con un’antica ricetta da cui trae origine il disciplinare della Dop.

Bruno, l’imprenditore che ha scommesso sulla Dop del Jambon de Bosses

Un pilota professionista di moto, una rivista e un ex deputato. Inizia così la storia del successo del Jambon de Bosses. Siamo nel 1999 quando Bruno Fegatelli, pilota di moto professionista e all’epoca proprietario di un ristorante “stellato” a Châtillon, scopre sfogliando una rivista che la Valle d’Aosta, dopo la Fontina e il Lardo di Arnad, ha una nuova Dop: il Jambon. Un importante riconoscimento per questo prosciutto le cui origini risalgono al Trecento, che rischia però di essere perduto se entro un anno non sorgerà uno stabilimento per dar vita alla produzione di questo particolare prosciutto crudo speziato con erbe di montagna. Da imprenditore visionario qual è, ma soprattutto da figlio e nipote di allevatori di maiali nella rinomata terra di Norcia, Bruno non ci mette molto a intuire le potenzialità della Dop del Jambon. La strada è però in salita, fisicamente e metaforicamente, perché giunto a Saint-Rhémy-en-Bosses alla ricerca del prosciutto, Fegatelli fa una scoperta curiosa: “Non trovo da nessuna parte il Jambon”. Bruno però non demorde. A Saint-Oyen, paese lì vicino, si ricorda risiedere Ivo Collé, l’ex deputato valdostano che durante gli studi aveva lavorato nel ristorante di Bruno. “L’ho chiamato e mi ha trovato un pezzo di prosciutto di Bosses”. Fino a quel momento infatti il “prezioso” prosciutto era un affare di chi lo produceva, soprattutto famiglie contadine. 
Con quel pezzo recuperato faticosamente, Bruno torna nella sua Châtillon e qui, nel suo ristorante aspetta il ritorno di un amico:  l’imprenditore dei salumi Franchi, che ne certifica, se ancora ce ne fosse bisogno, la qualità e decide di condividerne il progetto. Ai due si unirà Alessandro Tibaldi, il commerciale valdostano della Franchi. È così che nel 1999 nasce, anche con una piccola partecipazione del comune, la De Bosses Srl. Il Jambon grazie alla sua Dop inizia a farsi conoscere in tutto il mondo.

I numeri sono esigui, anche perché il disciplinare, che riprende un’antica ricetta dei canonici del Gran San Bernardo, pone molti paletti. Partiti con 800 prosciutti l’anno, l’azienda oggi 100% capitale valdostano, ne produce 3000/4000 l’anno, generando un indotto per tutto il territorio valdostano di 4/5 milioni di euro. Nella sola Saint-Rhémy-en-Bosses la De Bosses srl impiega una decina di persone.

Fra gli ultimi assunti in azienda ci sono due ragazzi nordafricani, accolti ed integrati nel paese grazie ad un progetto Sprar.

Ottilia Magnanini, la memoria storica del paese

È mentre veniamo guidati da Bruno Fegatelli nel borgo di Saint-Rhémy alla scoperta dell’antico prosciuttificio dei canonici del Gran San Bernardo, che notiamo affacciata al balcone della sua casa Ottilia Magnanini. Novant’anni il prossimo 16 gennaio, Ottilia è la memoria storica del paese. La convinciamo a scendere e a venire con noi nell’albergo/bar del paese per raccontarci di tempi lontani, che come lei stessa ammette in pochi oggi credono possano essere realmente esistiti.

“Una volta qui nessuno aveva il riscaldamento e la luce è arrivata intorno al 1920. Quando hanno messo i pali della luce mi ricordo le grida di gioia e stupore della gente”. Gli inverni trascorsi a liberare le strade della neve. “Ne cadevano metri, non finivi di spalare che poi arrivava giù la tormenta e dovevi ricominciare. In primavera avevamo tutti le braccia morte.” I panni lavati nella fontana, con un bastone di legno. “Anche in pieno inverno. Questi poveri vecchi avevano tutte le mani gelate. I giovani non ci credono quando glielo raccontiamo, come quando si doveva scendere a piedi ad Aosta (Ndr 22 km) perché non esistevano macchine o pullman”. Ottilia ha assistito anche al cambiamento del borgo di Saint-Rhémy, che dopo un periodo di abbandono, negli ultimi anni è stato ristrutturato, tornando a nuova vita.  Questo antico villaggio sospeso nel tempo, poche case immerse nel verde, ogni anno accoglie migliaia di pellegrini, nella prima (o ultima) tappa italiana della via Francigena.

Come tutti i paesi di montagna Saint-Rhémy-en-Bosses ha conosciuto negli anni un progressivo spopolamento. Non mancano però persone che hanno scelto di scappare dal caos delle grandi città, come Milano o Torino, per rifugiarsi nella quiete offerta da questo piccolo scrigno racchiuso fra i monti.

Esistono poi diversi “bossoleins” doc, portati lontano dal lavoro, ma che hanno scelto di continuare a risiedere in paese, per ricaricarsi e trovare nuove energie.

Il Colle del Gran San Bernardo continuò a mantenere a lungo la sua importanza strategica. Fra la fine dell’Ottocento e fino a metà del Novecento si diffuse fra molti abitanti dei paesi della valle la pratica del contrabbando, attività parallela a quella, poco redditizia, dell’agricoltura.

Saint-Rhémy-en-Bosses: alcuni dati

Comune: Saint-Rhémy-en-Bosses

Regione: Valle d’Aosta

Nel 1861 a Saint-Rhémy-en-Bosses vivevano 851 abitanti. Negli anni Trenta del 1900 la popolazione era già scesa ai 672, per diventare poi 547 negli anni Sessanta. Negli anni Ottanta i residenti scesero sotto le cinquecento unità. L’ultimo decremento si è avuto agli inizi del Duemila.

Fino agli anni Ottanta il paese contava intorno ai 500 residenti, ma poi iniziò un lento calo. Negli anni Novanta il comune perse un centinaio di abitanti. Nel 2000 i residenti divennero 397 mentre oggi sono 327 residenti.

Evoluzione demografica Saint-Rhémy-en-Bosses

Rilevazione censimenti dal 1861 al 2011

Silvia Savoye

GIORNALISTA

Ha, 41 anni, giornalista professionista dal 2009 vive e lavora ad Aosta. Direttore responsabile di Aostasera.it, edito dalla società cooperativa Piùpress, realtà in cui ha mosso i primi passi nel mondo del giornalismo dopo la laurea in Scienze della Comunicazione ottenuta all’Università degli studi di Torino nel 2003.
Nel 2005 ha conseguito il Master in Comunicazione ambientale presso l’Istituto europeo di design di Torino. Dal 2013 al 2017 ha fatto parte del Consiglio regionale dell’Ordine dei giornalisti della Valle d’Aosta.

Fabio Rean

REGISTA

Classe 1990, è un videomaker professionista. Appassionato di fotografia sin dall’adolescenza, con il passare degli anni, trasforma la sua passione per il videomaking in un vero e proprio lavoro, collaborando con studi musicali, studi fotografici e testate giornalistiche. Spirito creativo, appassionato di sport e corsa in montagna, ha ricevuto menzioni speciali per le sue riprese in alta montagna, dove mette in risalto le bellezze naturali della sua Valle d’Aosta e i suoi video musicali.

Le musiche dei video sono gentilmente concesse dal TdE Studio