Cercavano l’isolamento, e l’hanno trovato in un puntino di roccia nascosto dal verde sul falsopiano al confine con la Svizzera. Così è nato il villaggio dove ancora oggi proprio la tranquillità, divenuta suo malgrado cronica, rappresenta la costante delle giornate di Monteviasco, ultimo lembo di terra italiana prima della Svizzera. Qui non hanno fatto in tempo ad arrivare i mali del corpo, di cui ha sempre sofferto l’umanità, in special modo nelle città, dalla peste alla grande pandemia. E anzi da qui sono partiti i primi segni della riscossa recente, coi medici arrivati per aiutare i 7 residenti rimasti isolati lassù in montagna con gli unici mezzi disponibili: l’elicottero per muoversi e i vaccini per combattere la malattia.

Storie e leggende

La leggenda vuole che il borgo fondato a mille metri venne costruito da quattro soldati fuggiti da Milano nell’epoca della dominazione spagnola, quella raccontata dal Manzoni nei Promessi sposi, o forse erano briganti che portavano i cognomi ancora adesso diffusi nella valle: Morandi, Cassina, Dellea e Ranzoni. In realtà già nel Neolitico questi boschi erano abitati. E oggi come nell’antichità dove si perde la memoria dell’uomo, l’unico modo per raggiungere il borgo, frazione di Curiglia con Monteviasco, è rappresentato dalla mulattiera di 1.400 e passa gradini in grado di collegare al fondovalle questo manipolo di case sospeso fra i colori delle stagioni. La funivia è ferma per un incidente che costò la vita all’amato manutentore dell’impianto: si cerca chi possa oggi gestire il servizio che permetterebbe uno sviluppo turistico adeguato dopo gli enormi sforzi per mantenere in vita questo paese che dovette rispondere alla difficoltà della vita in montagna con una delle armi che possiede chi abita da queste parti, vale a dire la vicinanza con la Svizzera, risorsa dal costo di incurabili malinconie legate alla lunga permanenza all’estero per lavoro.

Paese sospeso

Eppure l’isolamento che ha fatto di Monteviasco un caso mondiale. Una storia che, dalla routine locale fatta di poche interazioni quotidiane fra chi vive fra le severe angolature dei tetti, arriva in capo al mondo: giornali tedeschi e inglesi, australiani e giapponesi, persino cinesi hanno voluto conoscere questo posto inviando giornalisti a raccontare il paese sospeso, isolato, e dove chiunque per raggiungerlo deve chinare la schiena nel verso della montagna, piegarsi al suo volere, e sopportare la salita fino al santuario di Nostra Signora della Serta. E pensare che la funivia è stata a lungo anche l’unico mezzo di trasporto per aprire alla vita i più giovani, i bambini che qui vivevano fino a non molti anni fa: il viaggio per andare a scuola cominciava dalla cabina chiusa in quei giorni quando d’inverno l’alba arriva tardi e si fatica a vedere. Ricordi che Monica e Martina, oggi giovani donne, di sicuro si portano ancora nel cuore come il colore dell’astuccio e le pagine del diario di quando andavano a scuola, sospese sulla valle.

Vita, comunità…intrecci

Tuttavia il paese è vivo. Esistono storie che si intrecciano con una vita passata quassù, memorie di tempi passati che addirittura hanno visto nascere la funivia, come quella Giulio, punto di riferimento da sempre della comunità: è stato con lui che è nata l’dea di rendere il borgo raggiungibile da tutti grazie a un viaggio sospesi nel cielo di neppure dieci minuti, tragitto che nessuno però ha potuto più fare da quattro anni a questa parte. Oppure la storia  di Lucia, “guardiana“ del paese in grado in questi anni di isolamento di tenere tutti in riga, organizzando speciali corvée per la pulizia delle stradine fatte di sasso, come le case, e del minuscolo cimitero dalle tombe ordinate e i fiori sempre freschi: «Qui abbiamo imparato l’educazione dei modi e dei pensieri. Chiunque a Monteviasco impara il senso della comunità prendendosi cura di un pezzetto di paese che viene così tenuto pulito e in ordine». La testimonianza di Egidio evoca invece momenti biblici: «Sono nato a Monteviasco, nella famosa stalla, come Gesù bambino. Fino a 11 anni ho vissuto qui, poi mi sono spostato e abbiamo deciso di scendere in in città. Appena andato in pensione però sono tornato. Siamo pochi, ma noi stiamo benissimo. Qui la prerogativa è vivere a contatto con la natura: si fanno passeggiate nel bosco, si fa la legna, ognuno ha il suo orto. Adesso chiaramente la priorità per Monteviasco è la funivia. Da quattro anni a questa parte ogni 10 giorni dobbiamo scendere a fare la spesa e portare tutti i viveri sulle spalle. Cos’ha Monteviasco di speciale? Non c’è bisogno di spiegarlo. Sono nato a Monteviasco, sono un tifoso». Anziani. Persone che hanno visto le generazioni andare e venire. Ma c’è anche Vittorio, un giovane. È un ventenne stanco della frenesia della città e del rumore di questo mondo: aveva bisogno di tornare a contatto con la natura, con la semplicità del vivere, per dedicarsi ad un antico mestiere: quello della cesteria, quel magico intreccio di fibre offerte dalla natura che quassù assume il senso della metafora, del forte vimini frutto dell’unione di tanti rami di salice legati, quasi fossero nati per stare assieme. «Mi sono trasferito qui perché volevo fare un’esperienza diversa. Il mestiere della cesteria è un’attività che mi occupa il tempo e mi regala una dimensione creativa inspiegabile. Mi sta piacendo, nella loro semplicità le cose vengono belle. È un lavoro molto stimolante, soprattutto a livello creativo: perché ti richiede di soffermarti, su come vuoi che un cesto diventi, e su come usare le mani per dargli quella dimensione. È qualcosa di speciale, che non pensavo di trovare in un mestiere così antico». Del resto anche a Monteviasco la vita scorre, e lo ricorda la meridiana sul balcone alimentata dal sole dove i giorni passano col passare delle stagioni.

Monteviasco: alcuni dati

Regione: Lombardia

Provincia: Varese

Comune: Curiglia con Monteviasco