La storia

Si viene a Poggiorsini d’estate, per cercare frescura e panorami. Quando ci lasciamo alle spalle il territorio di Castel del Monte, salutiamo anche l’umidità e l’afa di un maggio precocemente caldo e arido. Ma giunti a Poggiorsini, nel cuore del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, punto di osservazione privilegiato già abitato dal paleolitico, torniamo a respirare. Gli occhi vagano liberi. Non ci sono ostacoli, solo orizzonti, colline e storie umane.

Poggiorsini è la realtà meno popolosa della provincia di Bari. Nota in passato come Monte Folicato, poi sostituita da Macchia Vetrana, diventa Poggiorsini sotto il dominio della famiglia Orsini. I nuovi proprietari, sopraggiunti in zona all’inizio del 1600, ne fecero una proprietà privata, detenendone il possesso fino al 1910. A loro si deve la trasformazione dell’insediamento rurale in un centro urbano, con costruzioni spesso spregiudicate, la cui tenuta è stata dimostrata o cancellata dal terribile terremoto del 23 luglio 1930, che ha severamente danneggiato tutto il Vulture. Gli Orsini fecero costruire il casale e il Palazzo Ducale (1723-1727), eressero dalle fondamenta la chiesa di Maria Santissima dei Sette Dolori (1726-1727). Ma nel 1810 perdettero il feudo di Gravina ed il territorio feudale di Poggiorsini. Il villaggio divenne frazione di Gravina e rimase tale fino al 1957. Solo dal 1960 Poggiorsini ha potuto amministrarsi in autonomia, in risposta a un conseguente aumento della popolazione. Ma col tempo, lo scarseggiare del lavoro e l’emigrazione verso il Nord, ha riportato in città persone ormai in età pensionabile, tornate per accudire i genitori ormai anziani. Oggi nascono in media 5 bambini all’anno. La città riesce a mantenere i propri abitanti appena sopra le mille unità, ma in molti stanno abbandonando le case del borgo, senza curarsi neppure di metterle in vendita.

Chi resta, lo fa perché a Poggiorsini la vita è davvero a misura d’uomo. Il “social” più usato è il Roxy Bar, noto anche come “bar di giù”, dove Mino Brucoli anima il suo personale palcoscenico, cioè il bancone. Nella piazza principale del Paese, intitolata ad Aldo Moro, raggruppati in un unico stabile ci sono Comune, comando di Polizia, Pro Loco e ufficio postale. Accanto, c’è l’unica chiesa consacrata del borgo, Maria Santissima Addolorata. Tutti vanno in bici e, se esprimi un dubbio ad alta voce mentre passa qualcuno, si avrà sempre una risposta. Seduti su una panchina o al Belvedere, si può far amicizia con chiunque in un istante, osservando il tempo mescolarsi con lo spazio.

Per frenare l’emorragia di poggiorsinesi, si prova ogni cosa: dal grande artista in concerto per la festa patronale ai passatempi pomeridiani per donne con tanti saperi tra le dita e pochi impegni sull’agenda. Agata Picerno, presidente ProLoco, spiega i laboratori e le attività messe in piedi per far rinascere Poggiorsini.

La birra

Poggiorsini ha 1298 abitanti, un asilo, una scuola elementare e una media, una chiesa, un campo sportivo, ma anche sei ristoranti e quattro macellerie. Dati che mettono in chiaro quanto sia importante qui il mangiare bene. Non per niente, le varie edizioni della Sagra del fungo cardoncello e quella dell’involtino sono i momenti centrali dell’anno. Ad accompagnare il cibo, c’è il buon bere. Infatti, Poggiorsini è l’unico centro sotto i 1500 abitanti ad avere non uno, ma ben due birrifici. Tra i motivi, c’è anche la facilità di fare impresa in un centro in cui chi amministra si è impegnato al massimo per semplificare i passaggi burocratici per chi decide di investire sul territorio.

Matteo Orsini ha 40 anni, una grande passione per la bicicletta e per la birra. La prima l’ha appesa al chiodo, della seconda ha fatto un lavoro. Il Birrificio degli Ostuni è un progetto che condivide con il fratello Giuseppe. Un piccolo laboratorio con grandi sinergie in tutto il territorio.

Salvatore Loglisci sa quando esce di casa, ma non sa quando torna. Una delle sue tappe è Poggiorsini, al Birrificio SBAM! Social Brewery Alta Murgia. Da Gravina, Salvatore viene qui per coordinare le attività del laboratorio, che favorisce l’accesso al lavoro delle persone con disabilità psichica.

Tra terra e acqua

«Coltivare la terra è come crescere un figlio», ci dice Vincenzo Cirasole, agricoltore che da tutta la vita coltiva la sua terra intorno a Poggiorsini. Attraverso le sue mani leggiamo in controluce le fatiche di una terra generosa, che ha dovuto adeguarsi alle richieste di mercato. Infatti, in passato, il tabacco era la coltivazione capace di garantire ottime entrate alle famiglie del luogo. Poi qualcosa è cambiato e ci si è concentrati su grano, legumi, ma anche erbe officinali e aromatiche. Ce lo ha raccontato Serafino Di Palo, ex sindaco di Poggiorsini.

Ma i giovani coltivano la terra? Ci provano, ma non riescono ad assicurarsi una vita economicamente dignitosa. Filippo Stano aveva iniziato a coltivare erbe aromatiche e officinali per riannodare l’antico legame tra l’uomo e la terra. Ma l’economia dell’attività non era sostenibile. Così ha riversato le sue energie dalla terra all’acqua, quella imbottigliata dall’azienda Acqua Orsini. Divenuto un marchio molto amato dai ristoratori pugliesi del nord barese, oggi dà lavoro a 10 persone.

Perché restare a Poggiorsini

«La restanza è un fenomeno del presente che riguarda la necessità, il desiderio, la volontà di generare un nuovo senso dei luoghi. È questo un tempo segnato dalle migrazioni ma è anche il tempo, più silenzioso di chi resta nel suo luogo di origine e lo vive, lo cammina, lo interroga, in una vertigine di cambiamenti. La restanza non […] è una scelta di comodo o attesa di qualcosa, né apatia, né vocazione a contemplare la fine dei luoghi, ma è un processo dinamico e creativo, conflittuale, ma potenzialmente rigenerativo tanto del luogo abitato, quanto per coloro che restano ad abitarlo».

Vito Teti

Il senso del “restare” di Vito Teti non è concepito come un elogio della retorica del rimanere perché non ci sono alternative. O, peggio, del “restare” come forma ultima di immobilismo. Restare può essere una rivoluzione, vissuta come cambiamento, come confronto con l’esterno per poter cambiare l’interno. Perché per restare «bisogna camminare, viaggiare negli spazi invisibili del margine».

Restare non è associato, dunque, all’immobilità ma può rivelarsi un atto spaesante perché nel guardare i propri luoghi, comprese luci ed ombre – anzi, soprattutto le ultime – potrebbe capitare di imbattersi in esiti destabilizzanti, più scioccanti di un’esperienza in una terra sconosciuta.

Restare può fare paura. Restare è un’arte, un esercizio critico che si oppone “allo sguardo retorico” e sdolcinato che impedisce di pensare prima e tentare poi qualsiasi cambiamento. La restanza ha senso quando è un atto politico, è esercizio di resistenza e rigenerazione. Quando implica un confronto attivo che serva ad inscrivere la propria piccola patria nel cuore del mondo.

I volti di Poggiorsini

Poggiorsini: alcuni dati

Regione: Puglia

Provincia: Bari

Stefania Leo

GIORNALISTA

Stefania Leo, 40 anni, giornalista pubblicista, vive e lavora a Corato, in provincia di Bari. Collabora con Linkiesta.it, Domani, La Cucina Italiana, Agrodolce, Startupitalia, i gruppi editoriali De Agostini,  Mondadori e LiveNetwork. Appassionata di cibo e storie locali, gira il territorio in cerca dell’angolo cieco su cui gettare luce.

Francesco De Marinis

GIORNALISTA

Francesco De Marinis, 36 anni, è giornalista pubblicista dal 2010. Ha cominciato a scrivere quando aveva 13 anni per lo storico mensile coratino Lo Stradone. Dal 2012, da autodidatta, ha cominciato ad affiancare foto e video alla scrittura, documentando quanto avviene sul territorio. Attualmente lavora per il circuito LiveNetwork.it.